Corte di Cassazione, Sez. Lav.
Se il codice disciplinare muta, il lavoratore deve ricevere la sanzione prevista al momento dell’irrogazione e non quella (diversa) prevista al momento in cui commise la violazione. Così ha deciso la Suprema Corte in relazione al ricorso di una società che aveva licenziato un lavoratore per un comportamento che, al momento della sua commissione, era sanzionato dal codice disciplinare aziendale con l’espulsione ma che, al momento in cui il procedimento disciplinare si era concluso, era stato modificato, fissando per lo stesso comportamento una sanzione conservativa. Secondo la datrice di lavoro, la condotta avrebbe dovuto essere sanzionata in base alla norma vigente al momento del fatto, non potendosi applicare retroattivamente il nuovo codice disciplinare; né potendosi applicare i principii penalistici sulla norma più favorevole. Nel respingere le doglianze datoriali, la Corte ha spiegato che la soluzione adottata non deriva né dal favor rei né dall’applicazione retroattiva del nuovo regolamento. Invero, spiega la Corte, le sanzioni disciplinari non possono essere definite una pena, «essendo pur sempre di natura civile; talché non opera il principio costituzionale di irretroattività […], che prescrive che nessuno può essere punito se non in forza di una legge entrata in vigore prima del fatto commesso». Parimenti, non si tratta di applicare retroattivamente la nuova disposizione: deve semplicemente «essere riconosciuta l’applicabilità della sanzione disciplinare vigente al tempo» del licenziamento, anche se la condotta è stata posta in essere in epoca anteriore. Occorrerà verificare se il medesimo orientamento troverà applicazione in casi in cui la nuova sanzione sia viceversa più grave di quella prevista al momento del fatto