Tribunale di Roma
Nel caso esaminato, un’azienda aveva pattuito con un proprio lavoratore la risoluzione consensuale del rapporto con pagamento di un incentivo all’esodo determinato quale somma netta. A distanza di qualche anno, l’Erario aveva poi ricalcolato in aumento le imposte dovute, a norma di legge chiedendo all’ex dipendente le ulteriori imposte scaturenti da una diversa e più alta aliquota. Il lavoratore faceva allora causa all’ex datore di lavoro chiedendone la condanna al pagamento delle maggiori imposte che aveva dovuto versare. Il Tribunale di Roma, investito della questione, ha respinto il ricorso ricordando che il lavoratore è il solo soggetto titolare del debito tributario mentre il datore di lavoro è solamente un sostituto di imposta. Nel caso di importi corrisposti in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, dunque, a fronte di una pattuizione che preveda il pagamento di somme nette, il datore deve procedere alla «lordizzazione» degli importi convenuti, liquidando le imposte dovute secondo quanto previsto al momento. Secondo gli artt. 17 e 19 T.U.I.R., infatti, il datore di lavoro, all’atto del pagamento, effettua la ritenuta calcolando l’aliquota media corrispondente al reddito di riferimento noto in quel momento. Successivamente, l’Amministrazione finanziaria può riliquidare l’imposta (in aumento o in diminuzione) tenendo conto dei redditi percepiti dal lavoratore nei cinque anni precedenti.
Pertanto, nulla è dovuto dal datore di lavoro per le maggiori imposte, anche nel caso di pattuizione del netto, restando infatti nulli eventuali accordi volti a sottrarre il lavoratore ai propri obblighi tributari.