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È legittima l’estensione a casi simili delle previsioni contrattuali in materia di sanzioni disciplinari conservative

Corte di Cassazione, Sez. Lav.

Un lavoratore, RSU aziendale, durante l’emergenza pandemica, entrava nei locali aziendali, al di fuori dell’orario di lavoro e senza dispositivi di protezione individuale. Il dipendente, in compagnia di altri colleghi, creava altresì un potenziale assembramento, vietato in quel periodo. La società decideva dunque di licenziarlo per tali condotte. Il lavoratore impugnava il licenziamento con alterne fortune in giudizio. La Corte d’Appello, in particolare, ridimensionava la gravità dell’episodio, sottolineando che l’accesso ai locali aziendali faceva parte di una manifestazione di protesta organizzata dalla stessa sigla sindacale cui il lavoratore apparteneva. La condotta del dipendente poteva dunque essere ricondotta al caso, previsto dal CCNL, del lavoratore che arrechi pregiudizio all’igiene o alla sicurezza dell’azienda. La Suprema Corte ha confermato le ragioni del lavoratore, ribadendo che il licenziamento non è legittimo se la condotta contestata è punita dal contratto collettivo con sanzioni conservative (ossia, rimprovero, multa o sospensione). La Corte ha chiarito inoltre che, quando il contratto collettivo prevede sanzioni conservative «esemplificative» (senza un elenco chiuso di infrazioni), il Giudice può valutare se la condotta concreta possa essere ricondotta o assimilata a quelle punibili con tali sanzioni. Non si tratta di applicare la sanzione conservativa – e di escludere perttanto il licenziamento – a ipotesi non previste ma di riconoscere che il contratto lascia spazio per analoghi casi concreti.
La Cassazione ha pertanto ritenuto illegittimo il licenziamento.

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