Corte di Cassazione, Sez. Lav.
Il caso riguardava una lavoratrice vittima di molestie sessuali e violenza sul luogo di lavoro perpetrate da due superiori. Sia il Tribunale sia la Corte d’Appello avevano confermato la responsabilità del datore di lavoro. In particolare, i Giudici avevano condannato al risarcimento del danno non patrimoniale subito dalla vittima, con un incremento del danno morale soggettivo, in considerazione dell’età della donna e della sua cultura religiosa, condizioni che avevano amplificato la sofferenza interiore subita dalla vittima. L’importo del danno morale era stato sommato al risarcimento per il danno fisico subito. La lavoratrice ha impugnato la decisione, sostenendo che non fosse chiaro il criterio seguito per determinare l’importo risarcitorio.
La Cassazione ha tuttavia rigettato il ricorso della lavoratrice. La Corte ha confermato che il danno morale è risarcibile come voce autonoma rispetto al danno biologico e che si riferisce alla sofferenza interiore della vittima. La Corte territoriale aveva tenuto conto, tra l’altro, degli elementi sintomatici della sofferenza, come l’età e le condizioni personali. La Cassazione ha altresì ribadito che il danno non patrimoniale, essendo legato alla sfera della persona, non può essere esattamente commisurato come un danno patrimoniale. Pertanto, la valutazione del danno avviene in via equitativa, con un necessario grado di approssimazione, e può essere contestata solo se appare priva di giustificazione, se si discosta significativamente dai dati di comune esperienza o se risulta sproporzionata.