Corte di Cassazione, Sez. Lav.
Un lavoratore agiva in giudizio sostenendo di essere stato vittima di un comportamento vessatorio, pretestuoso e ritorsivo che all’esito era sfociato in un licenziamento.
Con la pronuncia in esame la Suprema Corte, confermando l’insussistenza del mobbing, ne ha ricordato i tratti distintivi.
Il mobbing rappresenta una condotta vessatoria, protratta nel tempo, nei confronti di un dipendente, ascrivibile ai colleghi (cd. «mobbing orizzontale») o al datore (cd. «bossing») caratterizzata da un intento persecutorio al fine di emarginare la vittima. In particolare, è necessario dimostrare la sussistenza dei seguenti requisiti:
– azioni e comportamenti di carattere persecutorio – illeciti o anche leciti se considerati singolarmente – posti in essere sistematicamente e protratti nel tempo;
– lesione del bene salute e mortificazione della personalità e dignità del dipendente;
– nesso di causa ed effetto tra le azioni vessatorie e il pregiudizio subito;
– intento persecutorio unificante di tutti i comportamenti lesivi.