Corte di Cassazione, Sez. Lav.
Su ricorso ex art. 28 Statuto, i giudici di merito avevano condannato la datrice di lavoro alla reintegrazione di alcuni lavoratori licenziati per ragioni ritenute antisindacali, stabilendo constestualmente il diritto dell’INPS di ricevere la contribuzione dovuta anche per il periodo di estromissione dei lavoratori. La società datrice ha impugnato tale decisione evidenziando che: • i lavoratori non avevano autonomamente impugnato il licenziamento (essendo l’azione promossa dal solo sindacato); • gli stessi lavoratori non avevano pertanto neppure percepito la retribuzione relativa al periodo di estromissione; • in assenza di prestazione e di retribuzione, non dovrebbe sussistere neppure l’obbligazione contributiva, non essendo applicabile al caso la speciale disciplina dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori. La Suprema Corte ha tuttavia respinto tali argomentazioni condannando la società al pagamento dei contributi. Secondo il Collegio, il licenziamento viziato da ragioni antisindacali è nullo a norma dell’art. 4, L. n. 604/1966; pertanto la dichiarazione di antisindacalità del comportamento aziendale reca con sé la nullità del licenziamento che, in quanto tale, è inidoneo ad estinguere il rapporto di lavoro che, in conclusione, rimane in essere. Da ciò conseguono due corollari: il primo è che il datore rimane soggetto all’obbligo contributivo poiché questo si fonda sull’obbligazione retributiva, a prescindere dal suo adempimento verso il lavoratore; il secondo è che non essendo applicabile l’art. 18 Statuto, i lavoratori reintegrati non avrebbero potuto optare per le 15 mensilità.