Corte di Cassazione, Sez. Lav.
La clausola di opzione apposta ad un patto di non concorrenza, che stabilisce il diritto del datore di lavoro di decidere, anche dopo la cessazione del rapporto di lavoro, se avvalersi o meno del patto, è nulla se non prevede uno specifico corrispettivo per il lavoratore.
Così ha deciso la Suprema Corte, chiarendo che la clausola di opzione realizza un’illecita sperequazione tra la posizione del lavoratore e quella del datore di lavoro, posto che solo il primo soggiace fin dall’inizio del rapporto alle limitazioni che derivano dal patto di non concorrenza mentre il datore di lavoro potrebbe non essere tenuto a remunerare il vantaggio conseguito, violando l’art. 2125 Cod. civ. Così congegnata, dunque, l’opzione si risolve in una frode alla legge.
Nel caso esaminato, il datore si era riservato un diritto di opzione sul patto di non concorrenza, diritto che avrebbe potuto esercitare o meno fino a 30 giorni dalla cessazione del rapporto di lavoro. La società non aveva esercitato il diritto di opzione e si era pertanto liberata dall’obbligo di pagare il corrispettivo. Il lavoratore si era pertanto rivolto al Giudice chiedendo il pagamento del corrispettivo poiché, secondo la tesi confermata dalla Cassazione, egli aveva in realtà eseguito comunque il patto.