Corte di Cassazione, Sez. Lav
Un lavoratore veniva licenziato per giusta causa, all’esito di un procedimento disciplinare, nel quale il datore di lavoro gli aveva contestato di avere inviato su un gruppo WhatsApp, composto dai dipendenti della società, messaggi minacciosi, farneticanti e diffamatori nei confronti della datrice di lavoro; di essersi presentato in azienda in stato di alterazione, di essere entrato nei reparti produttivi in abiti civili, senza indossare i dispositivi di protezione e il vestiario necessario per la sicurezza e l’igiene alimentare; e di aver creato agitazione tra i colleghi con un atteggiamento minaccioso, aggressivo e provocatorio; di essersi rifiutato di lasciare i locali aziendali tanto da rendere necessario l’intervento delle forza dell’ordine. Il dipendente agiva in giudizio per contestare la legittimità del licenziamento.
I Giudici di merito davavno ragione al datore di lavoro. La Corte di Cassazione ha parimenti rigettato la richiesta del lavoratore, precisando che, il Giudice di merito deve tener conto del contesto in cui i fatti di rilievo disciplinare si collocano, della natura e del contenuto dei fatti medesimi ed accertare se la mancata precisazione di alcuni elementi fattuali (ad esempio di ordine temporale, spaziale o relativi alle esatte parole pronunciate) possa aver determinato un’insuperabile incertezza nell’individuazione dei comportamenti imputati, tale da pregiudicare in concreto il diritto di difesa. Avendo la Corte territoriale applicato correttamente i suddetti principi al caso di specie, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso.