Corte di Cassazione, Sez. Lav.
Un lavoratore rivolgeva allusioni a sfondo sessuale ad una sua collega neoassunta. Quest’ultima denunciava tale condotta in due diverse occasioni alla società datrice che di conseguenza licenziava il dipendente per molestie.
Il lavoratore impugnava il licenziamento sostenendo che era nel suo comportamento assente la volontà offensiva e che in generale il clima dei rapporti tra tutti i colleghi era scherzoso e goliardico. Egli quindi chiedeva che fosse dichiarata l’illegittimità del licenziamento.
La Suprema Corte, chiamata a pronunciarsi sulla vicenda, ha chiarito che debbono essere considerate molestie quei comportamenti indesiderati, posti in essere per ragioni connesse al sesso, che hanno lo scopo o l’effetto di violare la dignità di una lavoratrice o di un lavoratore e di creare un clima intimidatorio, ostile, degradante, umiliante o offensivo. La Corte ha inoltre sottolineato che il carattere indesiderato della condotta, anche se ad essa non conseguono effettive aggressioni fisiche a contenuto sessuale, integra il concetto e la nozione di molestia, a prescindere dalla volontà di chi la pone in essere. Tale comportamento, secondo la Suprema Corte, è di gravità tale da giustificare il licenziamento del dipendente.
Il ricorso del lavoratore è stato quindi rigettato.