Corte di Giustizia
Una società di consulenza informatica aveva inviato, presso la sede di un cliente, una propria dipendente, ingegnere informatico con mansioni di progettista, che indossava il velo islamico. Dopo le prime prestazioni rese dalla lavoratrice, il cliente chiese alla società di inviargli una persona che non indossasse il velo. La società di consulenza chiese pertanto alla propria dipendente di adeguarsi alla richiesta. La donna si rifiutò e venne licenziata, stante l’incompatibilità tra le esigenze manifestate dal cliente e la sua personale posizione.
Ne scaturì una lite giunta fino alla Corte di Giustizia. La lavoratrice licenziata chiese alla Corte europea se il desiderio manifestato dal cliente potesse rappresentare un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell’attività lavorativa in questione. Secondo le norme comunitarie, infatti, una disparità di trattamento, basata su caratteristiche idonee a rappresentare una discriminazione, può essere lecita a condizione che, per la natura dell’attività lavorativa o per il contesto in cui essa viene svolta, la caratteristica considerata costituisca un requisito essenziale e determinante della prestazione e purché la finalità sia legittima e il requisito proporzionato.
All’esito del giudizio, la Corte ritenne che il semplice desiderio di un cliente non rappresenta una circostanza di per sè idonea a legittimare la disparità di trattamento attuata dal datore di lavoro, confermando la natura discriminatoria della decisione aziendale.