Skip to main content

La Corte Costituzionale è stata investita di una nuova questione di costituzionalità del Jobs act (Decreto legislativo n. 23/2015) . 

Questa in particolare, si è conclusa con la Sentenza 22 febbraio 2024, n. 22, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’Articolo 2 comma 1, nella parte in cui prevede la reintegrazione nel posto di lavoro solo nei casi di nullità del licenziamento espressamente previsti dalla legge.  

Secondo la Corte la formulazione di questo articolo è in aperto contrasto con la legge delega con la quale il Parlamento ha delegato il Governo ad emettere il decreto (la Legge n. 183/2014). 

Questo aspetto realizza il contrasto della norma con l’Articolo 76 della Costituzione. 

 

Jobs Act: le tante dichiarazioni di incostituzionalità  

La Corte è intervenuta più volte per dichiarare l’incostituzionalità delle disposizioni del Jobs Act. In questo articolo ci siamo occupati di un altro caso, che riguarda ancora una volta la mancata reintegrazione nel posto di lavoro. 

 

Il licenziamento disciplinare nullo 

Il caso che ha portato a questa nuova dichiarazione di illegittimità, riguarda il licenziamento disciplinare del dipendente di una società di trasporto pubblico urbano. 

La Corte di Appello, ha dato ragione al dipendente in secondo grado e il licenziamento è stato dichiarato nullo perché violava la procedura di legge.  

Il rapporto di lavoro è stato dichiarato estinto con il riconoscimento in favore del lavoratore di una indennità prevista dal Jobs Act (Articolo 3 Decreto legislativo n. 23/2015) 

Il lavoratore non poteva essere reintegrato nel posto di lavoro perché il licenziamento anche se nullo non rientra tra quelli per i quali il Jobs Act prevede la reintegrazione (Articolo 2, comma 1). Per questa ragione è stato proposto ricorso in Cassazione e la Suprema Corte ha rimesso la questione di costituzionalità alla Corte Costituzionale che ha risolto con la sentenza citata. 

 

Incostituzionalità della mancata reintegra in caso di licenziamento nullo  

La Consulta ha ritenuto fondati i dubbi di incostituzionalità sollevati dalla Corte di Cassazione. 

La nullità del licenziamento è definita, tecnicamente, “testuale” o “virtuale” a seconda che sia espressamente previste dalla legge come conseguenza della violazione di una norma imperativa (testuale), o sia una nullità ricavata dalla interpretazione dei magistrati a cui il licenziamento venga sottoposto con un ricorso (virtuale). Questo è stabilito dal Codice civile (Articolo 1418).  

Nel caso del lavoratore da cui è partito questo caso, la nullità del licenziamento è stata rilevata durante il procedimento di impugnazione del licenziamento, ma non è espressamente prevista dalla legge. 

Il legislatore ha usato la parola “espressamente” per limitare la reintegrazione alle sole nullità “testuali” ed escludere quelle “virtuali”. Tuttavia, la delega con cui il Parlamento a suo tempo ha incaricato il Governo di redigere il Jobs Act, non fa questa distinzione. 

La legge infatti consente di escludere la reintegrazione nel posto di lavoro ma solo nel caso di licenziamenti economici, cioè quelli determinati da esigenze produttive/organizzative del datore di lavoro. 

La reintegrazione è sempre prevista invece nei casi di: 

  • licenziamento discriminatorio; 
  • alcune ipotesi di licenziamento disciplinare ingiustificato; 
  • licenziamento nullo. 

La legge delega non distingue tra licenziamento nullo espressamente o non espressamente previste dalla legge.  

Il decreto Jobs Act ha quindi introdotto una distinzione non consentita e ha lasciato senza alcuna tutela specifica i lavoratori colpiti da un licenziamento nullo la cui nullità non sia stata espressamente prevista dalla legge.  

Translate