Il licenziamento, per essere valido, deve essere comunicato al lavoratore e deve avere forma scritta.
Lo prescrive l’art. 2 della Legge n. 604/1966 che lo impone al datore di lavoro.
Lo scopo della norma è quello di consentire al lavoratore di conoscere le intenzioni del datore di lavoro di recedere dal contratto di lavoro.
Il licenziamento deve essere fondato su un giustificato motivo, oggettivo o soggettivo (motivi economici o disciplinari) o su una giusta causa (gravi mancanze).
In questo blog ce ne siamo occupati varie volte. Per leggere clicca sul titolo:
- Licenziamento per ragioni organizzative;
- Licenziamento del lavoratore infortunato;
- Licenziamento e addebiti disciplinari;
- Licenziamento ritorsivo.
La comparizione davanti alla Commissione Provinciale di Conciliazione
Dopo la comunicazione del licenziamento, se il contratto di lavoro che intercorre tra le parti è certificato, datore di lavoro e lavoratore devono tentare di risolvere il loro conflitto davanti la competente Commissione provinciale di conciliazione.
La procedura è disciplinata dall’articolo 7 della legge n. 604/1966 e prevede che venga formulata una richiesta di conciliazione all’Ispettorato Territoriale del Lavoro.
L’Ispettorato convoca le parti avanti la commissione che è titolata a dirimere le controversie individuali e collettive di lavoro, prima che approdino davanti al Giudice.
La forma scritta del licenziamento e il verbale di (mancata) conciliazione
Se la conciliazione non riesce, dal verbale dell’incontro delle parti, risulterà la conferma della volontà del datore di lavoro di licenziare il dipendente.
Questo verbale, come conferma la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 10734 del 22 aprile 2024, soddisfa il requisito della forma scritta del licenziamento.
Nel caso che ha dato origine alla decisione della corte, una dipendente, licenziata per giustificato motivo oggettivo, ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza della Corte d’appello che aveva dichiarato risolto il contratto di lavoro e che le aveva riconosciuto un’indennità.
La dipendente lamentava che il licenziamento non le fosse stato comunicato per iscritto dopo l’esito negativo della procedura.
La Corte d’appello, invece, sosteneva che il licenziamento risultasse dal verbale scritto e firmato dalle parti dopo il fallimento del tentativo di conciliazione e che ciò rispettasse il requisito della forma scritta del licenziamento previsto dall’art. 2 della stessa legge n. 604/1966.
La norma non richiede che trascorra del tempo tra la chiusura del tentativo di conciliazione e la comunicazione del licenziamento. Né impone che la comunicazione del licenziamento debba avvenire in un altro contesto, distinto dal verbale redatto davanti la commissione.
La Cassazione ha dato ragione alla Corte d’appello e al datore di lavoro: il requisito della forma scritta del licenziamento è rispettato dal verbale redatto e sottoscritto in presenza dei rappresentanti delle parti e del presidente della commissione.