Il licenziamento per giusta causa si verifica quando la condotta del dipendente è così grave da rendere impossibile la prosecuzione del rapporto di lavoro, anche se solo provvisoria.
Non c’è giusta causa quando il licenziamento è una sanzione eccessiva, sproporzionata rispetto al comportamento che il lavoratore ha tenuto, anche se passibile di sanzione disciplinare.
Si parla, invece, di licenziamento ritorsivo – e come tale illecito – quando la decisione del datore di lavoro di cessare il rapporto costituisca una reazione punitiva a comportamenti legittimi del dipendente.
Anche se il licenziamento fosse privo di giusta causa, perché sproporzionato rispetto al comportamento del lavoratore, questa sproporzione non renderebbe comunque automaticamente ritorsivo il licenziamento.
Lo afferma la Cassazione con l’ordinanza n. 741 del 9 gennaio 2024, dove ribadisce, ancora una volta, il suo orientamento in materia di licenziamento ritorsivo e chiarisce quali sono le prove che il lavoratore licenziato deve fornire al giudice perché dichiari nullo il licenziamento.
Di questo tema ci siamo occupati in un altro articolo di questo blog in cui si commenta l’ordinanza n. 6838 del 7 marzo 2023.
Le caratteristiche del licenziamento ritorsivo
Il licenziamento ritorsivo è, secondo la definizione della Suprema Corte: «l’ingiusta e arbitraria reazione a un comportamento legittimo del lavoratore», insomma una azione di rappresaglia.
Perché si tratti di licenziamento ritorsivo, però, occorre che il motivo illecito, sia stato l’unica ragione determinante perché il datore di lavoro licenziasse il lavoratore.
Perché il giudice dichiari nullo il licenziamento, in quanto ritorsivo, è necessario che il lavoratore provi l’intento di ritorsione, ad esempio dimostrando che il fatto che il datore di lavoro gli contesta non è mai avvenuto.
Motivo ritorsivo e rapporto con la mancanza di giusta causa per sproporzione tra licenziamento e fatto contestato
Se il dipendente viene licenziato perché in effetti ha tenuto una condotta sbagliata e questa ha rilevanza disciplinare, il licenziamento potrebbe essere comunque privo di giusta causa se risulta sproporzionato rispetto alla gravità della condotta tenuta dal dipendente.
La risposta della Cassazione è che in questo caso non si possa parlare di licenziamento ritorsivo. Secondo la Corte, infatti, la mancanza di giusta causa dovuta alla sproporzione tra licenziamento e condotta illecita tenuta dal lavoratore, non rende automaticamente ritorsivo quel licenziamento.
La mancanza di giusta causa essa non è di per sé sufficiente a far ritenere che il datore di lavoro abbia voluto licenziare il dipendente solo per punirlo.
Il licenziamento è considerato ritorsivo quando il motivo illecito del licenziamento è unico e determinate, non invece quando la ragione posta a fondamento del licenziamento sia solo formale o apparente.
Se il motivo è un mero pretesto per licenziare (come quando la condotta che il lavoratore abbia effettivamente tenuto sia di modestissima rilevanza disciplinare), allora si parla di licenziamento illecito perché ritorsivo.