La lavoratrice non rinuncia al superminimo e per questo viene licenziata. Il licenziamento è nullo perché ritorsivo e la lavoratrice va reintegrata e risarcita anche se a licenziarla è una “organizzazione di tendenza” e questa non ha provato il motivo lecito del licenziamento.
È quanto afferma la Cassazione con l’ordinanza 6838 del 7 marzo 2023.
Legittimo il rifiuto di rinunciare al superminimo
La Corte pone fine alla lite tra una associazione di datori di lavoro e una dipendente che era stata licenziata a causa della crisi aziendale in corso. Il Tribunale, prima, e la Corte d’appello, poi, hanno invece ritenuto che l’associazione dovesse reintegrare e risarcire la dipendente. Questo perché la donna, in realtà, era stata licenziata per non aver rinunciato al superminimo.
Cos’è il superminimo
Il superminimo è quella parte della retribuzione che supera la paga minima stabilita nei contratti collettivi che disciplinano i rapporti di lavoro nei vari settori.
Il superminimo, previsto nel contratto di lavoro, può essere eliminato solo con l’accordo del datore di lavoro e del lavoratore.
Il lavoratore non è, quindi, tenuto a rinunciarvi ed è un suo diritto mantenerlo.
Il lavoratore può provare la ritorsione anche per presunzioni
Secondo la Corte è ritorsivo il licenziamento intimato per rappresaglia rispetto ad un comportamento legittimo del lavoratore. È lecito, infatti, scegliere di mantenere il superminimo previsto in contratto.
La Corte ha ritenuto per queste ragioni che le circostanze accertate e valutate dai Giudici del merito provassero la natura ritorsiva del licenziamento. La lavoratrice aveva provato, anche solo per presunzioni, che la volontà di ritorsione fosse stato l’unico motivo che aveva determinato il datore di lavoro a licenziarla. Il licenziamento, quindi, era nullo e la lavoratrice andava reintegrata e risarcita.
L’azienda deve provare il motivo lecito del licenziamento
L’azienda invece non è riuscita a dimostrare che il licenziamento fosse giustificato da un motivo lecito, cioè dalla crisi economica che aveva impedito di mantenere il rapporto di lavoro con tutti i dipendenti.
Tutela “reale” se l’“organizzazioni di tendenza” licenzia in modo ritorsivo
In caso di licenziamenti nulli, perché discriminatori o intimati per ritorsione, la “tutela reale”, cioè la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore ingiustamente licenziato, si applica anche quando a licenziare sia una “organizzazione di tendenza”.
Le organizzazioni di tendenza perseguono fini ideologici, senza scopo di lucro, di natura politica, culturale, sindacale, di istruzione, di religione o di culto, come le associazioni dei datori di lavoro e quelle sindacali.
Infatti, l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori si applica alle organizzazioni di tendenza solo quando il licenziamento sia discriminatorio o ritorsivo, a prescindere dal numero dei dipendenti.
Per questi motivi la Cassazione ha respinto il ricorso dell’associazione contro la sentenza della Corte d’Appello, che aveva disposto la reintegrazione della lavoratrice e un’indennità dal licenziamento al riavvio del rapporto di lavoro.
a cura di Vincenzo Fabrizio Giglio