Tribunale di Alessandria, Sez. Lav
Una lavoratrice, dopo aver rassegnato le dimissioni ed iniziato un’attività lavorativa presso un’azienda concorrente, agiva in giudizio contro il precedente datore di lavoro per ottenere il pagamento del trattamento di fine rapporto. La società si opponeva contestando la violazione da parte della lavoratrice del patto di non concorrenza firmato circa dieci anni prima della cessazione del rapporto. Il patto aveva ad oggetto il divieto di svolgere, nel comune e provincia dove la ex dipendente aveva lavorato, attività concorrenziale per due anni successivi alla cessazione del rapporto di lavoro. A fronte di tale patto, la società datrice di lavoro aveva corrisposto alla ex dipendete un compenso pari al 7% della retribuzione, pagato mensilmente «fino a quando il datore di lavoro lo riterrà opportuno». Il patto prevedeva altresì una penale in caso di violazione pari al doppio del compenso ricevuto. La lavoratrice resisteva alla domanda sostenendo la nullità del patto e della clausola penale.
Il Giudice – pur ritenendo la legittimità del pagamento in costanza del rapporto di lavoro – ha dichiarato nullo il patto in quanto il pagamento mensile del corrispettivo non era vincolato ad alcun paramento oggettivo bensì al mero arbitrio del datore di lavoro. Secondo il Tribunale, infatti, il patto di non concorrenza deve prevedere, a pena di nullità, il preciso ammontare del corrispettivo o comunque criteri oggettivi per la sua determinazione.