Tribunale di Cosenza, Sez. Lav.
Una lavoratrice veniva licenziata per superamento del periodo di comporto. La dipendente impugnava il licenziamento chiedendo che la datrice fosse condannata al risarcimento del danno biologico e morale, sostenendo che la propria malattia fosse dovuta ad una condotta mobbizzante della Società che le aveva cagionato una «sindrome depressiva ansioso/reattiva».
Il Tribunale chiamato a pronunciarsi sulla vicenda ha ribadito il principio secondo cui, in caso di mobbing, grava sul lavoratore l’onere di dimostrare la sussistenza del nesso causale tra la condotta datoriale e l’insorgenza del danno patito. In particolare, ha osservato il Giudice di merito, la documentazione medica prodotta dalla lavoratrice non consentiva di sostenere che la sindrome depressiva ansioso/reattiva diagnosticata potesse ricondursi al comportamento del datore. Inoltre il Giudice di primo grado ha osservato che affermare nella documentazione medica che un danno è «verosimilmente» da ricondurre all’ambiente di lavoro significa esattamente certificare una situazione di incertezza, che non può in alcun modo portare alla condanna dell’azienda.
Il ricorso della lavoratrice è stato quindi rigettato e la stessa condannata al pagamento delle spese legali.